Like a rolling stone

Pietra che rotola non fa muschio.

Però si consuma, e a volte si rompe.

Silenzio

Più passano gli anni, più dentro di me si fa silenzio.

C’era un rumore continuo, solo l’altro ieri, e cercavo freneticamente di spegnerlo.

Ora, quando mi ascolto, è come sentire il vento in un valloncello di montagna. Niente voci, solo vento e qualche occasionale rumore – sassi che cadono, strida di uccelli.

Sembra vuoto, questo silenzio, e invece è così pieno da traboccare.

Crepuscolo

Vi ho pensati, ieri sera, al momento di dormire.

Mi sono chiesta se anche voi, come i vostri fratelli, non voleste andare a letto, o se docilmente vi faceste guidare dai bisnonni, dai prozii, dal colonnello (cui il mio cuore vi ha affidato).

Mi sono chiesta se quel bambino nato dormendo tanti anni prima che io venissi al mondo, e che certamente avete conosciuto, sia rimasto bambino o sia ora l’uomo che non abbiamo mai potuto conoscere, noi quaggiù.

Mi sono chiesta se anche voi volgiate verso chi vi chiama due faccine quasi identiche, come i vostri fratelli, o se invece uno di voi abbia, chissà, i miei occhi.

Mi sono chiesta, e mi chiedo, se verrà mai un giorno in cui potrò pensare a voi senza lacrime.

Sterilità

Stamattina, mentre tornavo a casa dopo aver comprato il pane, ho visto un merlo morto al margine della strada. Mi sono ricordata di averlo visto già la scorsa settimana, passando coi bambini.

Era praticamente uguale.

Ho pensato che in campagna gli animali muoiono nei prati, sulla terra, e ad essa ritornano piuttosto rapidamente, grazie ad altri animali. Qui dove tutto è asfalto i loro cadaveri rimangono più a lungo, senza altri da nutrire, senza qualcosa a cui tornare.

Ho pensato che anche io morirò senza portare nutrimento, né agli animali né alla terra, uguale per anni.

Morta ma apparentemente viva.

Sterile.

Ri(cordi)elezione

Ho la sensazione di essere l’unica a ricordare la colonna di camion militari in via Borgo Palazzo.

In chiave

Partire con la nebbia, bianca e luminosa, su strade familiari e insieme ostili. È come se il paesaggio si nascondesse.

Mi viene da pensare che non voglia che la nostalgia, come sempre, mi faccia sentire trafitta.

Poi la.nebbia si apre, e compare l’Appennino, che si avvicina rapidamente.

Montagne e boschi e piccoli agglomerati di case, il fiume e la città dei librai, sotto un cielo azzurro e limpido.

È come se il mondo cantasse la mia canzone, mentre cerco di dimenticarla.

Porte sul giardino

Volevo cambiare lavoro, per cambiare la mia vita.

Volevo cambiare lavoro, per cambiare la vita degli altri.

Ho affrontato un percorso di formazione e trasformazione, aprendo in me porte che avevo chiuso da anni. Dietro quelle porte ho scoperto un giardino rigoglioso, pieno di angoli inaspettati e di una vita selvaggia, tumultuosa, inarrestabile.

Giunta quasi alla fine di quel percorso, pronta ormai a spiccare il volo e piena di progetti, ho dovuto chiudere tutte quelle porte, in fretta, a chiave, per cercare di dimenticare il giardino, in cui mi era vietato stare.

Zoppicante, dopo quasi un anno, provo a riprendere a camminare. Come se mi riprendessi da un grave incidente, procedo a piccoli passi, con prudenza.

Ho riaperto uno spiraglio.

Quella vita tumultuosa è ancora lì, e vuole uscire. Vuole bloccare la porta perché non si chiuda più. Vuole che io spicchi finalmente il volo.

E con le ali tarpate non posso che guardare il cielo, così lontano, e urlare all’infinito, in silenzio, il mio dolore.

Vuota e piena

C’era del pane, ormai secco, lasciato in bagno, residuo di uno spuntino mai finito, chissà per quale motivo – e spero non sia quello cui continuo a pensare.

C’era un lavoro lasciato a metà, una delle sue coloratissime sculture aeree, e me la sarei portata a casa ma mi sono chiesta se era così che lui l’aveva pensata, o mancava qualcosa. E allora l’ho lasciata lì. 

Sul tavolo accanto, c’era una bottiglia di vino piena a metà. Ci sarà stato un bicchiere, prima, bicchiere che qualcuno ha tolto per pulire, ma apparentemente non ha avuto la forza di togliere anche lei. L’abbiamo lasciata lì, quella bottiglia, come se qualcuno dovesse tornare a lavorare in quella stanza, a creare magie bizzarre, e avesse bisogno di un sorso ogni tanto per spezzare.

C’era il bucato steso nella lavanderia, lo si vedeva scendendo le scale. Mi ha fatto male, mi ha colpita allo stomaco. L’ho ritirato io perché doveva farlo qualcuno di famiglia, ma non potevo lasciare che lo facesse mia madre.

Era una casa disabitata, eppure ancora piena della vita di chi ci abitava, tanto da farmi desiderare di esserne io la prossima abitante.

Altrove

Ci sono così tanti luoghi, in giro per l’Italia.

Luoghi piccoli e ignoti, paesi spopolati, case isolate su crinali boscosi, campanili come segnali di una presenza umana ormai dimenticata.

Luoghi che quando li vedi ti spingono a chiederti chi ci abbia vissuto o ci viva, e come, e se sia una vita che potrebbe piacerti.

Mi chiedevo, osservando le case sui pendii della Lunigiana, se davvero dobbiamo stiparci nelle città, e chi l’abbia deciso.

Dove

Dove la terra è aspra, e a volte cade.

Dove la vegetazione si aggrappa, a volte sgretola, più spesso trattiene.

Dove il vento ha lo stesso rumore dell’acqua che scorre, perché scuote infinite fronde, e vento e ruscello rinfrancano in ugual misura.

Dove silenzio, solitudine, fatica, distanze – orizzontali e verticali – sono minuti, ore, giorni.

Dove senti te stesso, invece delle voci delle aspettative altrui.

Ecco dove il mio spirito è vivo e libero.

Poi torno, e sprofonda, lo sguardo alzato a desiderare.

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