In chiave

Partire con la nebbia, bianca e luminosa, su strade familiari e insieme ostili. È come se il paesaggio si nascondesse.

Mi viene da pensare che non voglia che la nostalgia, come sempre, mi faccia sentire trafitta.

Poi la.nebbia si apre, e compare l’Appennino, che si avvicina rapidamente.

Montagne e boschi e piccoli agglomerati di case, il fiume e la città dei librai, sotto un cielo azzurro e limpido.

È come se il mondo cantasse la mia canzone, mentre cerco di dimenticarla.

Altrove

Ci sono così tanti luoghi, in giro per l’Italia.

Luoghi piccoli e ignoti, paesi spopolati, case isolate su crinali boscosi, campanili come segnali di una presenza umana ormai dimenticata.

Luoghi che quando li vedi ti spingono a chiederti chi ci abbia vissuto o ci viva, e come, e se sia una vita che potrebbe piacerti.

Mi chiedevo, osservando le case sui pendii della Lunigiana, se davvero dobbiamo stiparci nelle città, e chi l’abbia deciso.

Luoghi

Il centro di Clusone, con le strade strette e talvolta ripidissime, piazza dell’orologio con quel capolavoro su cui mai mi è riuscito di leggere le ore, la danza macabra che mi provoca un’emozione grande ogni volta che la vedo. I paesi dell’altopiano, collegati da strade segnalate e da sentieri che tutti i ragazzini conoscono (e chissà se esistono ancora). I profili delle montagne circostanti, e per me la Presolana sarà sempre a est e il pizzo Formico a sud. Il Serio e la sua acqua gelida, anche nelle estati più calde.
Il Duomo di Rimini (che solo a scuola ho sentito chiamare Tempio Malatestiano). Piazza tre martiri. Piazza Cavour e la vecchia pescheria.
Le Rive e piazza Unità d’Italia, a Trieste. Il molo Audace e le meduse grandi, bianche e viola, che proliferavano nel porto. Le case dello studente, brutte, scomode, spesso mal tenute, ma piene di gente e di storie, di modi di vivere e di arrangiarsi. Cittavecchia, le sue scalinate e salite ripide, la mansarda dove mi son sentita a casa. Barcola e i “veci” che prendono il sole ogni giorno, per mesi, fino a sembrare fatti di cuoio, gli uomini con minuscoli slip e le donne in topless, divertendosi e senza vergogna.
Fivizzano, dove tira sempre vento e dalle cui mura mi affaccerei altre mille volte. La valle del Lucido e i suoi paesi, dove ormai mi ero abituata a salutare chiunque incontrassi mentre passeggiavo. La fortezza della Brunella, che annuncia l’arrivo ad Aulla (e che non ho mai visitato). Pontremoli e le case a strapiombo sul fiume, e l’ospedale dove è nata la piccola sapiente, a fianco del quale sorge l’edificio, bellissimo, del vecchio ospedale.
Decine di altri luoghi, dove sono stata magari una sola volta, ma che per ciò che vi è avvenuto, o solo per uno sprazzo di bellezza, sono rimasti nella mia memoria.
Anche qui, dove l’occhio stenta a fermarsi su qualcosa, ci sono attimi di bellezza assoluta.
Quando il cielo è limpido, e non capita spesso, a nord si vede sorgere l’imponente corona delle Alpi, con quello che mi dicono essere il Monte Rosa. Il campanile del paese è alto e bellissimo, specialmente se osservato dalla villa dove ha sede il Comune, in un giorno di sole. La campagna che divide casa mia dal Naviglio Grande e dal Ticino. Il parco, con gli alberi immensi e i pavoni dal verso stridulo.
Tuttavia, ancora il cuore non sa o non vuole mettere radici, forse per la paura di vedersele ancora una volta lacerare dall’ennesimo trasferimento non desiderato.

Migrazioni (e distacchi)

Che i politici se ne escano spesso con frasi poco felici, che scatenano polemiche fra il “popolo”, non è una novità. Il sospetto che si tratti di una strategia per distrarre da altre, ben più importanti questioni sorge ogni volta, e come ebbe a dire (pare) un altro politico, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende.
Prendiamo quindi con le pinze l’ultima esternazione di un ministro, anche se mi sembra opportuno rifletterci su. Mi riferisco, naturalmente, all’affermazione sugli italiani che cercano il lavoro solo vicino a casa, perchè non vogliono allontanarsi da mamma e papà.
Come sapete (e se non lo sapete, il nome del mio blog dovrebbe suggerirvelo), la migrazione è una costante della mia vita. In 30 anni ho avuto 6 diverse residenze, in altrettanti Comuni, in tre diverse regioni; inoltre, sono a mia volta figlia e nipote di migranti interni, poichè mia madre è riminese (ma non lo era nessuno dei suoi genitori) e mio padre, nato in Piemonte, è cresciuto a Roma. Insomma, noi la migrazione, soprattutto per questioni di lavoro, ce l’abbiamo nel DNA.
Ad ogni nuovo spostamento bisogna ricominciare da capo. Nuova casa, nuovo lavoro (o nuova scuola, o università), nuovi negozi di fiducia, nuove amicizie, nuove reti sociali. Non sempre è facile: il mio ultimo trasloco, per esempio, mi è costato un periodo di lungo isolamento, perchè senza lavoro e con una bambina piccola fare nuove conoscenze non è facile. Anche trovare i servizi, se non si conoscono la zona e il suo tessuto sociale, può essere difficile. Cercare lavoro, infine, può essere quasi impossibile, considerato che ancora oggi la stragrande maggioranza delle assunzioni avviene per chiamata diretta di persone che hanno saputo dell’offerta di lavoro da amici, parenti o conoscenti, il che ovviamente diventa difficoltoso per chi non ha una rete sociale vasta.
Bisogna inoltre considerare i problemi legati alla cura dei membri deboli delle famiglie: anziani e bambini (sui disabili non mi pronuncio perchè son troppo ignorante).
Mia madre ha 63 anni e abita sola a 250 chilometri da me, e non passa giorno senza che mi chieda come farà, quando sarà troppo vecchia per badare a se stessa e alla sua grande casa. Ha sempre dichiarato di voler andare in una casa di riposo, ma sappiamo che questo potrebbe essere un problema, poichè non sappiamo se ce ne sia una adatta (e poi dove, vicino a me o lì dove abita?), se vi sia posto e se la sua pensione basterà per pagare la retta. Se fossimo vicine, naturalmente, sarebbe tutto più semplice.
Mia figlia ha due anni e mezzo. Frequenta saltuariamente un asilo nido privato, la cui retta è discretamente alta, poichè non abbiamo parenti o amici che possano badare a lei quando io lavoro, vado a un colloquio o semplicemente devo sbrigare una commissione e non posso portarmela dietro; la scelta del nido privato non è stata una vera scelta, poichè dato il mio stato di disoccupazione, semplicemente, non sarebbe mai entrata a quello comunale. Ora che si avvicina l’inizio della scuola materna, siamo daccapo, poichè non sappiamo se sarà ammessa, e se non lo sarà dovremo trovare a tempo di record una struttura privata che la accetti. Se vicino a noi ci fossero nonni o zii, tutte queste spese ce le potremmo risparmiare.
Al ministro e ai sociologi certo non interesserà, ma le migrazioni hanno anche un aspetto emotivo. In tutti questi anni e questi chilometri mi sono lasciata indietro decine di persone cui volevo bene. Per molti versi, probabilmente, è colpa mia, visto che telefono poco e al telefono sono molto fredda; tuttavia, temo che per chi è nato, cresciuto e vissuto sempre nello stesso posto, o quasi, sia difficile comprendere la mia necessità di distaccarmi emotivamente, per non sentirmi lacerata ad ogni distacco.
Mi lascerò indietro altre persone, alla prossima migrazione, e non so nemmeno quando e come avverrà… ma ci sarà.

Buon anno, influenza

Stamattina lo specchio mi mostra una faccia smunta e occhi di un azzurro poco credibile. Alla fine l’influenza mi ha presa, appena rientrata a casa.
La Lunigiana ci ha salutate con un sorriso e un abbraccio, cielo limpido, azzurro intenso, le montagne come sagome scure e nette, sormontate dalle nuvole come montagne fantasma e coperte di neve; sulla Cisa, appena prima della galleria che conduce l’autostrada al di là del valico, nuvole basse e un arcobaleno, spesso e incredibilmente vicino. Sull’altro versante, solo pioggia e nebbia.
Sono stati giorni tranquilli e complessivamente sereni, nei quali ho riposato e ricamato, ma siamo anche andati a Pisa per vedere una mostra (alla piccola sapiente Picasso è piaciuto) e a Lerici per una passeggiata sulla spiaggia, il primo giorno del 2012. La tentazione di restare è stata forte, ma non così, senza un lavoro, senza nulla da fare fuori casa, senza la possibilità di avere una casa mia.
C’è stata un’assenza, pesante soprattutto per la piccola sapiente, che passa dall’allegria alla tristezza con una facilità che mette malinconia, ancora troppo piccola per capire le sfumature del comportamento umano ma abbastanza sensibile per soffrire ad ogni minimo cambiamento.
Spero che quest’anno cominciato con una malattia porti un cambiamento in meglio. Intanto, ricomincio la vita di sempre, con nuove consapevolezze ma anche nuovi dubbi.

Piena

Guardo da giorni le fotografie di Aulla dopo la piena del Magra.
Stamattina, sul sito del Tirreno, una in particolare mi ha colpito. Riprendeva un distributore di benzina. Lì ho fatto rifornimento l'ultima volta che sono stata in Lunigiana. Sullo sfondo, un discount; di fronte, il parcheggio del supermercato dove facevamo la spesa, con le piante che lo delimitano.
Non c'è più la strada, coperta dal fango. Le piante sono piegate, spezzate, parzialmente sepolte. I pali della luce piegati.
Sulla destra, non si vede ma io lo so, si esce da Aulla per imboccare le statali 62 e 63. La strada di casa.
Se invece si oltrepassa il discount nella foto si arriva all'ingresso dell'autostrada, dopo aver percorso un ponte sopra il Magra. Chissà che ne è di quel ponte, se fa parte di quelli chiusi a causa della piena. L'autostrada, comunque, è chiusa, e io penso a mia madre che voleva venire in Lombardia a trovare sua sorella, malata, e difficilmente potrà farlo.

La piccola sapiente, la misina e il signor Euclide

Entra dalla porta, concentrandosi al massimo per superare quel gradino alto, che le deve sembrare un ostacolo quasi insormontabile.
Si guarda intorno, già sorridendo; a volte saluta la proprietaria, al cui nome cambia sempre l'iniziale solo per spirito di contraddizione, altre volte invece esordisce direttamente chiedendo:
"Dov'è la misina?"
Da dietro una vetrinetta si sente una risata di anziano arzillo, e una voce che in dialetto la invita ad andare lì.
Si siedono insieme a un tavolino, lui su una sedia comoda, lei arrampicata su una di quelle scalette a tre scalini, e chiacchierano metà in italiano e metà in dialetto.
Chiamano insieme la gatta, che spesso non si presenta, spaventata da quel giovanissimo uragano in miniatura, e che anche quando si presenta ha un atteggiamento guardingo e raramente si fa accarezzare.
Ridono, ridono entrambi di cuore, felici di farsi compagnia a vicenda, il novantenne con la camicia a quadrettoni e la bimba che, quando le chiedono quanti anni abbia, risponde "Due" mostrando tutte e dieci le dita delle mani.
Il giorno della partenza passiamo a salutare. Entrando come una folata di vento, come suo solito, la piccola sapiente non chiede della misina, ma direttamente:
"Dov'è il signor Euclide?"