Che i politici se ne escano spesso con frasi poco felici, che scatenano polemiche fra il “popolo”, non è una novità. Il sospetto che si tratti di una strategia per distrarre da altre, ben più importanti questioni sorge ogni volta, e come ebbe a dire (pare) un altro politico, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende.
Prendiamo quindi con le pinze l’ultima esternazione di un ministro, anche se mi sembra opportuno rifletterci su. Mi riferisco, naturalmente, all’affermazione sugli italiani che cercano il lavoro solo vicino a casa, perchè non vogliono allontanarsi da mamma e papà.
Come sapete (e se non lo sapete, il nome del mio blog dovrebbe suggerirvelo), la migrazione è una costante della mia vita. In 30 anni ho avuto 6 diverse residenze, in altrettanti Comuni, in tre diverse regioni; inoltre, sono a mia volta figlia e nipote di migranti interni, poichè mia madre è riminese (ma non lo era nessuno dei suoi genitori) e mio padre, nato in Piemonte, è cresciuto a Roma. Insomma, noi la migrazione, soprattutto per questioni di lavoro, ce l’abbiamo nel DNA.
Ad ogni nuovo spostamento bisogna ricominciare da capo. Nuova casa, nuovo lavoro (o nuova scuola, o università), nuovi negozi di fiducia, nuove amicizie, nuove reti sociali. Non sempre è facile: il mio ultimo trasloco, per esempio, mi è costato un periodo di lungo isolamento, perchè senza lavoro e con una bambina piccola fare nuove conoscenze non è facile. Anche trovare i servizi, se non si conoscono la zona e il suo tessuto sociale, può essere difficile. Cercare lavoro, infine, può essere quasi impossibile, considerato che ancora oggi la stragrande maggioranza delle assunzioni avviene per chiamata diretta di persone che hanno saputo dell’offerta di lavoro da amici, parenti o conoscenti, il che ovviamente diventa difficoltoso per chi non ha una rete sociale vasta.
Bisogna inoltre considerare i problemi legati alla cura dei membri deboli delle famiglie: anziani e bambini (sui disabili non mi pronuncio perchè son troppo ignorante).
Mia madre ha 63 anni e abita sola a 250 chilometri da me, e non passa giorno senza che mi chieda come farà, quando sarà troppo vecchia per badare a se stessa e alla sua grande casa. Ha sempre dichiarato di voler andare in una casa di riposo, ma sappiamo che questo potrebbe essere un problema, poichè non sappiamo se ce ne sia una adatta (e poi dove, vicino a me o lì dove abita?), se vi sia posto e se la sua pensione basterà per pagare la retta. Se fossimo vicine, naturalmente, sarebbe tutto più semplice.
Mia figlia ha due anni e mezzo. Frequenta saltuariamente un asilo nido privato, la cui retta è discretamente alta, poichè non abbiamo parenti o amici che possano badare a lei quando io lavoro, vado a un colloquio o semplicemente devo sbrigare una commissione e non posso portarmela dietro; la scelta del nido privato non è stata una vera scelta, poichè dato il mio stato di disoccupazione, semplicemente, non sarebbe mai entrata a quello comunale. Ora che si avvicina l’inizio della scuola materna, siamo daccapo, poichè non sappiamo se sarà ammessa, e se non lo sarà dovremo trovare a tempo di record una struttura privata che la accetti. Se vicino a noi ci fossero nonni o zii, tutte queste spese ce le potremmo risparmiare.
Al ministro e ai sociologi certo non interesserà, ma le migrazioni hanno anche un aspetto emotivo. In tutti questi anni e questi chilometri mi sono lasciata indietro decine di persone cui volevo bene. Per molti versi, probabilmente, è colpa mia, visto che telefono poco e al telefono sono molto fredda; tuttavia, temo che per chi è nato, cresciuto e vissuto sempre nello stesso posto, o quasi, sia difficile comprendere la mia necessità di distaccarmi emotivamente, per non sentirmi lacerata ad ogni distacco.
Mi lascerò indietro altre persone, alla prossima migrazione, e non so nemmeno quando e come avverrà… ma ci sarà.