Dall’alto

Da mesi, ormai, oscillo tra pochi momenti buoni, e molti altri in cui sono francamente molto giù, fisicamente e psicologicamente.

Trovando difficile ricaricarmi in mezzo al cemento e alla confusione, un giorno ho deciso di lasciare i bambini a scuola e poi andarmene a camminare in montagna. In alto, dove c’è silenzio e si vede lontano.

Lassù, dove si sentivano solo grilli, uccellini e campanacci di vacche, ho volto lo sguardo in direzione di Milano, in direzione dei luoghi dove vivo, e ho visto una cappa marroncina, netta, al di sopra della città.

È come se quella cappa pesasse su di me, sulle mie idee, i miei sogni. Il mio futuro.

A badilate

Un paio di giorni fa ha nevicato. Una nevicata bella, a larghe falde, che alla fine ha lasciato sul terreno una ventina di centimetri di neve soffice e asciutta.

Quando mi sono svegliata, affacciandomi alla finestra mi sono resa conto che il cancello carraio del condominio faticava ad aprirsi, così ho lasciato la famiglia a dormire e dopo aver fatto colazione sono scesa a spalare neve dalla rampa dei garage.

Lì ho trovato un vicino che dava istruzioni a una donna su come affrontare la salita in auto. Ho afferrato il badile lasciato a disposizione dall’impresa di pulizie e mentre lui spargeva sale mi sono messa a sgombrare rampa e cancello.

Mezz’ora dopo avevo finito e sono risalita, ma in breve era tutto bianco di nuovo, così altri due condomini e mio marito sono scesi a spalare a loro volta, spargendo contestualmente il sale.

Verso le dieci sono arrivati i dipendenti dell’impresa di pulizie, che si sono fumati una sigaretta, hanno criticato il lavoro fatto da noi e poi hanno sgombrato i vialetti in cortile.

Tutto questo mi ha ricordato le nevicate in valle, quando uscivamo tutti a spalare prima ancora che il cielo si rischiarasse. Vedevi persone di età diverse, uomini, donne e ragazzi, e se qualcuno era solo o non in grado di cavarsela veniva aiutato dai vicini.

Il condominio dove abito dovrebbe avere la rampa riscaldata ma – fatalità – dopo l’ultimo intervento degli elettricisti le resistenze hanno smesso di funzionare. L’impresa di pulizie avrebbe il compito di sgombrare i passaggi e la rampa dei garage, e viene pagata a parte per questo, ma nonostante la neve fosse ampiamente prevista nessuno si è presentato finché chi doveva andare al lavoro non era già uscito da tempo.

Infine, non meno importante, ci sono oltre 60 appartamenti nel condominio, ma solo da quattro di questi qualcuno è sceso a spalare. Non per tutti era una necessità, fra l’altro, dato il periodo di ferie.

Quando confronto il luogo in cui vivo con quello in cui sono cresciuta, sono queste le differenze che noto, rendendomi conto di quanto il mio approccio risulti anomalo da queste parti: darsi da fare, sempre, senza rimandare e pensando al bene comune.

Saranno rozzi, i montanari, ma pur essendo più isolati sono forse meno soli.

Antica danza

Negli ultimi giorni le notizie della positività di personaggi ricchi e potenti hanno scatenato commenti di ogni tipo, che augurano loro il peggio o viceversa si dolgono per persone che magari proprio prudenti non sono state.

Per me è solo un memento di qualcosa la cui rappresentazione è stata sotto i miei occhi negli anni della mia infanzia e adolescenza, qualcosa che a distanza di secoli ha ancora un impatto fortissimo su chi la contempla dal vivo.

Curioso che si trovi poco lontano da dove il colpo si è abbattuto più violentemente.

(Intanto noi scopriamo i protocolli con cui dovremo affrontare quest’anno scolastico, e non è affatto piacevole)

Cieli blu

Il passo

Mio padre, oltre alla pelle candida, mi ha donato il passo.

Quel passo elastico e ritmato che ieri, con i dieci chili del bimbo arcobaleno sulla schiena, mi ha comunque permesso di andare su e giù, avanti e indietro più velocemente degli altri, senza stancarmi. E che mi ha fatto sentire bene.

Parco giochi (con mascherina)

In val Seriana le ciclabili sono piene di ciclisti e camminatori (per i bergamaschi camminare è un’abitudine irrinunciabile) e i parchi giochi hanno riaperto.

Ieri siamo stati nel preferito dalle mie figlie. Sulle panchine di legno sono stati dipinti grandi cerchi verdi, a distanza di un metro uno dall’altro. Le griglie un tempo a disposizione dei visitatori sono inaccessibili, circondate dal nastro bianco e rosso dei cantieri. I bambini giocano su scivoli e altalene, ma tutti quelli abbastanza grandi da sopportarla indossano una mascherina, anche se hanno meno di 6 anni (inclusa la bimba che sorride). I genitori sorvegliano che non si ammassino gli uni sugli altri, combattuti fra il rispetto delle regole e la comprensione delle esigenze dei bambini.

Due sorveglianti, con divisa e mascherina, passeggiano avanti e indietro. Con un cenno invitano chi non indossa la mascherina o la indossa male a sistemarsela – non importa se si trova a molti metri da altre persone, o in compagnia solo dei propri figli. Intervengono nei giochi dei bambini, invitandoli ad allontanarsi fra loro, a non spingersi o a non salire tutti insieme sullo scivolo. Scrutano i gruppi di persone per capire se siano parenti, e possano quindi stare vicini, o debbano essere invitati ad allontanarsi.

Si tratta di una normalità necessaria ma un po’ forzata, nel luogo in cui è stato pagato il prezzo più alto. Ci sono nell’aria paura e rassegnazione, unite dalla consapevolezza che il peggio probabilmente è passato, ma non è affatto finita.

Lotta

Alzano Lombardo compare su tutti i miei documenti. La Val Seriana, ve lo assicuro, è un posto bellissimo. Pieno di gente che lavora tantissimo, un po’ tagliata con l’accetta, ma pronta a scambiare due chiacchiere se fate la stessa strada o a far giocare i suoi figli coi tuoi – cosa che credevo scontata, finché non mi sono trasferita nel milanese. E i paesaggi sono insieme bellissimi e amichevoli, montagne che nulla hanno da invidiare al Piemonte o alle Dolomiti, ma più accessibili.

In questi giorni la mia mente ha percorso le strade di quei paesi decine di volte, vedendo gli angoli più pittoreschi insieme a quelli più quotidiani e banali. Tutti, per me, sono in una certa misura luoghi del cuore.

Un’amica mi ha inoltrato la lista dei comuni bergamaschi, col numero dei contagiati. Se non è difficile giustificare i contagi in pianura o in città, così come nei comuni più vicini ad Alzano, alcuni paesi sono così remoti che mi sono stupita di trovarli menzionati.

La causa di questi contagi improbabili, in realtà, ha un nome: denaro.

Tutti sanno che la zona rossa in bergamasca non è stata istituita perché si tratta di un’area ricca di aziende di peso, le quali hanno fatto pressione per poter continuare a lavorare. I bergamaschi fanno molti chilometri per lavoro, scendendo dai loro paesi di montagna per raggiungere le fabbriche, e hanno così portato a casa anche il virus, oltre al salario.

Un’altra fonte di denaro per la valle è il turismo, fatto per lo più di villeggianti milanesi, con le loro seconde case. Quando l’emergenza è cominciata, e fino al divieto di uscire dal proprio comune di residenza, molti di costoro hanno lasciato la città e se ne sono andati in montagna, tanto che alcuni comuni hanno in questi giorni una popolazione che normalmente hanno solo in estate. Insieme ai villeggianti ha viaggiato il virus, che non a caso è ben rappresentato nelle località sciistiche.

La Val Seriana lotta per non morire, con la tenacia ostinata tipica dei suoi abitanti, e il mio cuore lotta con lei.

Paesi e silenzio

Stamattina ho accompagnato a scuola la bimba che sorride, avendo come sempre il bimbo arcobaleno in fascia dentro la mia giacca, poi mi sono diretta verso la biblioteca.

Il lunedì è giorno di chiusura per i negozi della cittadina in cui vivo, e alle 9.00 ormai tutti sono a scuola o in ufficio.

Per strada ho incontrato un ragazzo in bicicletta, una signora che era stata dal panettiere, due operai che lavoravano alla ristrutturazione di un negozio, una mamma africana che conosco di vista col primogenito per mano e la secondogenita legata sulla schiena, un tizio che parlava al telefono dicendo che portava a spasso il cane per stancarlo, un pensionato e due signore che chiacchieravano.

Dette così sembrano tante persone, ma distribuite su due chilometri sono meno di quelle che di solito incontro nei 500 metri che separano casa mia dalla scuola materna. Anche le auto erano poche, e il centro mi ha ricordato quelli dei paesi di montagna dove sono cresciuta.

Mi sono sentita bene, nel posto giusto, almeno finché è durato questo leggero, piacevole spaesamento (complice la sonnolenza che accompagna questi mesi).

Sarà che ieri siamo stati in uno di quei paesi, andando a trovare mio padre.

Sarà che in valle ci potrei (vorrei) tornare, perché il silenzio è una necessità a cui fatico sempre più a rinunciare.

Salti nel tempo

Ho smesso di pensarti ormai, ma faccio sogni strani (Afterhours)

Era quasi cinque mesi fa, e se andate a cercare vedrete che parlavo di strade.
Stesso posto, altre circostanze, ma quando ieri sono uscita da quella porta, lasciando la piccola sapiente a prolungare il pranzo con (e come) suo nonno, le sensazioni di allora mi hanno assalita.
All’improvviso, ero uscita per rispondere a una telefonata che arrivava ogni sera alla stessa ora, che attendevo con impazienza e che mi illuminava la giornata.
Una telefonata che un giorno, semplicemente, non c’è stata, e poi non è tornata più.

Per un tempo che mi è sembrato infinito ho continuato a fare sogni che mi ricordavano una speranza andata in fumo. Anche quando da sveglia ho smesso di pensarci, anche quando ho accettato e perdonato, di notte la mia anima non si dava pace.
Quei sogni sono tornati, e sono tanto intensi quanto indistinti.
Dolorosi come ogni speranza che si sa essere senza fondamento.

Tornando a casa, oggi pomeriggio, un cartello stradale mi ha riportata ancora più indietro, a molti anni fa.
Quando ero ragazzina, mia madre si recava spesso, per lavoro, in un paese alle porte di Bergamo, e per me era lontanissimo, quasi un altro pianeta. Bergamo stessa, neanche trenta chilometri da casa, era una meta che richiedeva un’organizzazione da vero e proprio viaggio.
Buffe queste sensazioni, per una che fin da piccola era stata abituata a escursioni a lungo raggio; mi sono chiesta allora come sarà la piccola sapiente, cosa penserà dei viaggi e delle distanze.
Cosa penserà di me, che lontano da casa gioco con lei con una serenità e un trasporto che a casa spesso mi mancano.

Spazzatura

Quando vivevo in val Seriana attendevo settembre. Perchè a luglio e agosto c’erano i “milanesi”, con tutte le conseguenze di traffico e sporcizia che portavano con sè. Naturalmente, non tutti i villeggianti erano milanesi, ma la maggioranza sì, e quello che li accomunava erano un atteggiamento quasi invariabile di superiorità, la rumorosità e la tendenza a lasciare spazzatura ovunque, preferibilmente nei boschi.
Ora in mezzo ai milanesi ci vivo, e spesso mi capita di sentirmi dire che il tale o il tal altro hanno la casa in questo o quel paese dell’alta valle, o andavano in vacanza da quelle parti, e non di rado mi son morsa la lingua, pensando a quel traffico e a quella spazzatura abbandonata qua e là.

L’ho notato nelle mie camminate solitarie, e ancora di più andando fuori con la piccola sapiente, che raccoglie di tutto: qui c’è spazzatura ovunque. Ogni striscia di prato, ogni fosso, ogni parco giochi è invaso dalla spazzatura. E’ uno spettacolo triste, squallido, e che mi fa pensare a un mondo in decadenza, dove la bellezza non ha posto.
Mi fa pensare alla città che avanza e si mangia il mondo che amo.

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